Cinema d’autore al Caporali di Castiglione con “Un affare di famiglia” Al Cinema Caporali di Castiglione del Lago torna, in autunno, la consueta programmazione di elevata qualità artistica. Lunedì 5 alle 21:30 e mercoledì 7 alle 18 e alle 21:30 si proietta “Un affare di famiglia” il capolavoro di Kore-eda Hirokazu premiato con la Palma d’Oro pochi mesi fa al Festival di Cannes, interpretato da Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi e Miyu Sasaki.
In “Un affare di famiglia” Kore-eda Hirokazu analizza le disuguaglianze sociali e crea un classico vivente. In un umile appartamento vive una piccola comunità di persone, che sembra unita da legami di parentela: così non è, nonostante la presenza di una “nonna” e di una coppia, formata dall’operaio edile Osamu e da Nobuyo, dipendente di una lavanderia. Quando Osamu trova per strada una bambina che sembra abbandonata dai genitori, decide di accoglierla in casa.
La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Libero arbitrio parentale: un tema niente affatto nuovo nel cinema di Kore-eda Hirokazu, dallo scambio di figli di “Father and Son” alla sorellanza estesa di “Little Sister”. Ma “Un affare di famiglia” percorre solo in apparenza binari antichi, nascondendo una differente declinazione della materia, che guarda al sociale come l’autore non faceva dai tempi di “Nessuno lo sa”, con un’opera brutalmente separata in due atti, che lavora molto sul dialogo con lo spettatore.
Il primo segmento sembra esaudire appieno le aspettative di quest’ultimo, introducendolo a un gruppo di ladruncoli che, per interesse prima e per affetto poi, si ritrova a festeggiare un colpo, simulando di avere dei rapporti effettivi di parentela. Tutto sembra procedere nella direzione più attesa, sino alla svolta narrativa che riapre il vaso di Pandora e rimette tutto in discussione. “Buoni”, “cattivi”, giusto e sbagliato, diventano concetti ribaltati sullo spettatore e sui suoi dubbi, con una padronanza della narrazione, già intravista nel “rashomoniano” “The Third Murder”, che guarda al relativismo di Akira Kurosawa, ancor più che al consueto termine di paragone di Ozu. Kore-eda è ormai talmente padrone della propria poetica, elaborata attraverso una lunga e pregevole filmografia, da poterne disporre a piacimento, rivoltandola come un guanto per offrire nuovi punti di vista, nuove ricerche di verità. Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma i toni quasi da commedia della rappresentazione della famiglia fittizia in un dramma colorato di nero, che colpisce come una sferzata, dopo aver aperto il cuore al sentimento. Lo scontro tra legge e natura raggiunge il suo apice nell’epilogo di “Un affare di famiglia”, dimostrando l’invincibilità della prima, che ostruisce la costruzione di un modello alternativo, ma ribadendo con forza le ragioni della seconda. Un approfondimento sul piano filosofico rispetto al passato dell’autore, che si rispecchia in una maestria formale sempre più stupefacente. Nel primo segmento Kore-eda costruisce una successione di microsequenze mirate ad abbattere ogni resistenza emozionale: il quadro familiare che si ricompone nella plongée dei fuochi d’artificio e poi nell’orizzontalità del bagnasciuga; le simmetrie di lividi e bruciature (le braccia delle donne, le gambe degli uomini), che accomunano paternità o maternità e sembrano segni del destino, esposti di fronte a una giustizia che chiude occhi e orecchie.
Con la grazia che lo contraddistingue nella trattazione delle dinamiche familiari e nelle sfumature di comportamento dei più piccoli, infatti, Kore-eda seziona, con un invisibile bisturi, l’ipocrisia su cui si regge il formalismo nipponico e svela l’abisso che separa le classi sociali. Le professioni umilianti o usuranti che accomunano i membri della “famiglia” costituiscono il nuovo proletariato urbano, assai più eterogeneo e meno leggibile di quello analizzato da Marx. La classe operaia che, anziché sognare il paradiso o una rivoluzione, convive con il “job sharing”. Con “Un affare di famiglia” si ride, ci si commuove e si rischia di finire con il cuore in frantumi. Mai così pessimista, ma forse mai così lucido, Kore-eda è ormai un classico vivente.
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